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Note sulla controversia palamita e su temi ad essa afferenti GIOVANNI S. ROMANIDIS

Note sulla controversia palamita
e su temi ad essa afferenti


GIOVANNI S. ROMANIDIS

 


Il presente articolo nasce, come lo stesso autore afferma, a seguito d'un famoso lavoro di padre Giovanni Meyendorff: Introduzione allo studio di Gregorio Palamas. L'articolo non è completo. In queste pagine è presente solo la traduzione della prima delle due parti. Inoltre, il testo non è recente, essendo stato pubblicato la prima volta in The Greek Orthodox Theological Review, Volume VI, Number 2, Winter, 1961-64. Ciononostante, è la prima volta che il testo viene pubblicato in italiano su gentile concessione dell’autore. Proporlo in Italia significa fornire degli elementi per comprendere un'epoca (è il momento in cui comincia ad avvenire un’ampia apertura ecumenica tra la Chiesa cattolica e quella ortodossa) e uno scrittore, molto spesso esaltato, ma forse un po’ succube di qualche ingenuo preconcetto. Il teologo Giovanni Romanidis, personalità di ampia fama in Grecia, scorge nel pensiero di Meyendorff alcuni punti criticabili. Tali punti sono evidenziati attraverso un non sempre facile percorso e meravigliano non poco se si pensa all’incontrastato coro di consensi che Meyendorff ha riscosso nell'Occidente europeo. Il tema è particolarmente importante anche perché, per Romanidis, le posizioni di San Gregorio Palamas e di Barlaam il Calabro rimandano a quelle del cristianesimo ortodosso e del cristianesimo occidentale. Fino a che punto le due posizioni sono conciliabili e da qual punto in poi non lo sono più è un tema che ha appassionato diversi studiosi. Ovviamente le risposte date influiscono nella valutazione dei due personaggi storici in questione. Non deve dunque stupire se, dietro alle figure di Palamas e Barlaam, ci siano, ancora oggi, vive riserve e critiche provenienti sostanzialmente da approcci basati su prospettive diverse.



Q
uesto studio è nato a seguito della recente pubblicazione del libro Introduction à l’Etude de Grégoire Palamas, e della traduzione francese del testo di san Gregorio Palamas Yper ton hieron hesychazonton (Défense des Saints Hésychastes) . Entrambi i lavori appartengono a padre Giovanni Meyendorff, professore di storia della Chiesa nel seminario ortodosso di san Vladimir e ricercatore di teologia bizantina al Dumbarton Oaks Research Library. La preparazione di questi lavori per un dottorato ha richiesto quasi un decennio. Padre Giovanni tenta mirabilmente di descrivere un periodo estremamente importante della storia religiosa e intellettuale dell’Impero bizantino.
Lo scopo principale di quest’articolo non è quello di descrivere i contenuti di tale pubblicazione, ma di discutere la presentazione dell’autore sulla controversia palamita e sulla teologia orientale romana in relazione alla teologia franco-latina. La traduzione dei testi in questione servirà solo a evidenziare se l’autore ha capito o no i problemi sottesi a tale questione. A questa trattazione seguirà una valutazione sul contributo di padre Meyendorff alla storia della teologia bizantina.

Per diversi anni padre Meyendorff ha sostenuto in vari articoli che il dibattito tra san Gregorio Palamas e Barlaam il Calabro non rappresenta una rottura tra la teologia franco-latina e quella romano-orientale, come viene generalmente ritenuto, quanto piuttosto, un litigio nazionale tra determinati umanisti bizantini e un gruppo più numeroso di bizantini monasticheggianti con i loro proseliti . Meyendorff attribuisce frequentemente a Barlaam l’identità di umanista, platonico e nominalista e pare ritenere che il neoplatonismo dell’Areopagita faccia da base al suo nominalismo . L’Autore sostiene che il pensiero occamista era in qualche maniera parte dell’atmosfera bizantina e che, in Barlaam, questo pensiero ha rappresentato un certo tipo di teologia naturalistica che enfatizzava la Rivelazione naturale . Tale Rivelazione naturale, agendo sull’uomo, sarebbe stata parte del suo processo soteriologico . Padre Giovanni ritiene che la controversia abbia gravitato attorno all’interpretazione dello Pseudo-Dionigi e che Palamas abbia applicato dei correttivi al neoplatonismo areopagitico. Così, da quel che sembra, Barlaam non si sarebbe sbagliato troppo nel capire i testi dai quali è partito [per sviluppare il suo pensiero]. Concordemente a tale analisi, Palamas viene rappresentato come un pensatore originale, contrario alla teologia della "ripetizione formale” che ha caratterizzato pensatori come Akindynos e Gregoras.
Questi ed altri temi saranno trattati in due parti:

1) la teologia di Barlaam , e
2) la teologia di san Gregorio Palamas.
Forse la tesi più stupefacente e rivoluzionaria di padre Meyendorff è che Barlaam fu contemporaneamente nominalista e neoplatonico o platonico. Fino a quest’oggi la storia della filosofia e della teologia ritiene che queste correnti di pensiero siano esclusive. È comunemente ammesso che Guglielmo di Occam abbia distrutto la base platonica della scolastica medioevale con il suo rifiuto dell’esistenza obiettiva degli universali nell’essenza di Dio e nella creazione, invalidando, con ciò, la base su cui poggiava l’analogia entis e la relativa teologia e legge naturale. Tale fatto ha preparato la via per l’esclusiva enfasi dell’analogia fidei, caratteristica prevalente della tradizione protestante. Se padre Meyendorff ci spiegasse come sia possibile ad un unico individuo essere contemporaneamente nominalista e platonico rinnoverebbe radicalmente la nostra conoscenza sulla storia intellettuale europea. Sfortunatamente, non ha considerato quest’aspetto e ci ha quindi lasciati disorientati nell’interrogativo di come e perché si possa sostenere tale straordinaria (e certamente originale) tesi .

Che Barlaam fosse proprio un cristiano platonico e non un nominalista è ovvio dalle citazioni dei suoi lavori sui quali è fondata la sua condanna del 1341 e dai testi palamiti tradotti da Meyendorff. Barlaam afferma che nella mente creativa divina sussistono dei logoi le cui "immagini” (eikones) si trovano nell’anima umana . Altrove parla di universali posti da Dio nell’anima al momento della sua creazione . Inoltre parla chiaramente d’una conoscenza analogica delle idee o ‘forme’ (theoeidon) . Sia l’esistenza delle idee divine increate poste nell’essenza di Dio e riflesse in immagini create, sia il metodo analogico per arrivare alla conoscenza di Dio basata sull’esistenza delle medesime idee e sulle loro riflessioni, è esattamente quanto Guglielmo di Occam ha rigettato in favore di un’enfasi esclusiva della Rivelazione come fonte propria della conoscenza di Dio. In contrasto tagliente con Occam, Barlaam insiste sull’importanza degli universali per costruire un’adeguata teologia su Dio. La conoscenza degli universali è per lui superiore alla conoscenza degli individui . Benché Palamas, in linea di principio, non rigetta la teologia naturale, attacca fermamente il Calabro proprio su questo punto insistendo che l’uso degli universali nella ricerca e nella conoscenza di Dio è la principale fonte degli errori filosofici greci . Aggiunge, inoltre, che qualsiasi metodo dialettico dedotto da tali principi negli argomenti che riguardano Dio è proibito dai Padri . È quindi molto strano che Meyendorff, che ha pubblicato i testi di questa controversia, qualifichi Barlaam come nominalista e Palamas come aristotelico sulla dimostrazione della conoscenza di Dio . Se avesse detto il contrario sarebbe stato più vicino alla verità.

Esiste molta più somiglianza tra Palamas e Occam che tra quest’ultimo e Barlaam nel rifiuto di una conoscenza di Dio basata su un’intuizione platonica d’idee divine statiche o universali. Il comune rifiuto di Occam e Palamas nell’identificare qualsiasi idea universale con l’essenza di Dio ha, in parte, la medesima motivazione: proteggere la natura divina da ogni possibile forma di determinismo. Entrambi concordano che le creature non sono copie d'universali idee increate, idee inesistenti visto che, per entrambi, sono reali solo gli individui. Le creature non deriverebbero dalla copia di qualche singola idea a loro identica presente nell’essenza divina o difforme dalla volontà di Dio. La differenza fondamentale tra Occam e Palamas è che Occam identifica la volontà divina con l’essenza divina e semplicemente rigetta il concetto stesso dell’esistenza d’idee increate. Palamas fa un passo ulteriore rispetto alla scotistica distinzione formale stabilendo la reale distinzione patristica tra essenza e attributi o energie divine. Con ciò, Palamas insiste sul carattere volitivo e formale delle energie increate chiamandole Aneideoi (un ovvio attacco a Platone) Aschematistoi, e Theia Thelemata. Citando queste affermazioni, Meyendorff ha trascurato di menzionare che Palamas rigetta pure l’esistenza d'idee increate universali per insistere che ciascuna creatura, e non ciascuna specie o genere, ha una sua corrispondente increata energia divina o volontà . Un’altra importante differenza è che Occam segue il principio occidentale secondo il quale non è generalmente ammessa una conoscenza profetica di Dio in questa vita, intendendola come una immediata visione di qualche cosa d’increato.

Un’ulteriore prova che Barlaam non può essere classificato come nominalista è la sua analisi sul pensiero latino e su Tommaso d’Aquino con la quale identifica tutte le cose in Dio, ossia nella sua divina essenza . La critica e il rifiuto di Barlaam della reale distinzione palamita tra essenza ed energia in Dio, indica che il Calabro opera molto probabilmente una formale distinzione scotistica. Se fosse nominalista, non criticherebbe i latini che identificano tutte le cose in Dio nell’essenza divina, ma prenderebbe da loro spunto per creare un’ulteriore distinzione virtuale tomista, considerato il rifiuto degli occamisti di fare ogni distinzione. Che Barlaam faccia una formale distinzione scotista è intensamente indicato da una dichiarazione del cardinale Bessarione sul Calabro il quale avrebbe introdotto nella teologia bizantina argomentazioni scotistiche anti-tomiste . Con questo fatto non s’intende, comunque, che Barlaam fosse stato uno scotista rigoroso, visto che accettava la dottrina delle idee innate nell’anima umana, altra indicazione per cui non può essere nominalista.

Meyendorff sembra infondere l'impressione di ritenere che il nominalismo di Barlaam sia il prodotto dell’adesione ai principi neoplatonici dell’ apofatismo areopagitico . Quest’adesione è presentata come lo sfondo filosofico nel quale Barlaam ha collocato la questione del Filioque permettendogli di concludere che sia i romani orientali che i latini si sbagliano ad avere fiducia nel poter dimostrare le loro rispettive posizioni . Comunque, questo punto dal quale parte l’analisi di padre Giovanni non è corretto.
Barlaam afferma ben altre cose. Egli mostra due vie con le quali si può giungere alla conoscenza di Dio: Ta mathemata (le scienze filosofiche) e la Rivelazione. Entrambe sono doni di Dio . Quello che non è dato in entrambe le vie, trascende i poteri della ragione umana e non può, perciò, essere conosciuto, al meno sicuramente. Comunque, quando una verità è trasmessa in un modo o in un altro, l'anima può accoglierla . Per tale motivo, quanto donato nella Rivelazione, pure la realtà spirituale, non trascende la ragione umana – Oude ta pneumatika ton anthropinon yperbainei logismon . Questo non è quell’apofatismo [orientale] che padre Giovanni riscontra nel pensiero del Calabro.
La questione sul Filioque, per Barlaam, non può essere dimostrata, perché gli argomenti di entrambe le parti non possono essere dedotti con qualche principio dato da Dio nella filosofia o nella Rivelazione. Perciò, una questione come la processione dello Spirito Santo, trascende la ragione umana e non può essere dimostrata. Se è stata rivelata, non ha alcun bisogno d'essere dimostrata, essendo un primo principio che non trascenderebbe la ragione umana. Padre Giovanni fa l'errore di dedurre, dallo specifico scetticismo di Barlaam riguardo alla prova della dimostrabilità del Filioque, uno scetticismo universale riguardo alla conoscibilità di Dio .
I presupposti di Barlaam gli rendono possibile sostenere che nella tradizione patristica esiste una terza posizione sulla questione del Filioque che non è quella dei franco-latini medievali o dei romano-orientali. Egli ritiene che questa terza posizione, la quale pone il problema oltre la portata della ragione e perciò della prova dimostrativa, è la chiave per l’unione. Il punto iniziale di Barlaam spiega pure perché Palamas lo accusi di ridurre le esperienze soprarazionali della teologia patristica al livello dell’indagine razionale. Per Barlaam la conoscenza di Dio è razionale e solo le cose inconoscibili di Dio sono soprarazionali. Per Palamas la conoscenza di Dio è basata sull'esperienza soprarazionale dei profeti, degli apostoli e dei santi; trascende ogni conoscenza razionale e non può, perciò, essere capita o definita in categorie razionali. Tantomeno può essere trattata dialetticamente e sillogisticamente, partendo dai non esistenti universali come base iniziale. Queste osservazioni indicano fortemente che in Barlaam e Palamas si confrontava con acceso stridore la tradizione del credo ut intelligam tipica del mondo occidentale post-agostiniano e quella apofatica dei padri romano-orientali. Non si può dubitare sulla sincerità con la quale Barlaam si credeva ortodosso. Tuttavia, la medesima sincerità non verifica in nessun modo che, venendo in Oriente, egli abbia abbandonato i suoi presupposti franco-latini o semplicemente sia venuto, come padre Giovanni ritiene, in veste di teologo e filosofo bizantino non latino.

Queste osservazioni preliminari aumentano seriamente i dubbi riguardo alla precisione di padre Meyendorff nel trattare e comprendere lo sfondo filosofico e teologico di Barlaam. Una chiave di comprensione certamente molto importante ci è data non solo dalla reazione di san Gregorio contro il Calabro, ma anche dalle risposte del suo amico Akindynos, del suo nemico Gregoras e del Patriarca Calecas. Il fatto che questi tre si opponessero alla visione della dottrina ortodossa di san Gregorio, manifesta chiaramente un'evidente divisione nel campo teologico bizantino; ma il fatto che gli stessi abbiano evitato di sostenere pubblicamente Barlaam – specialmente sulla questione della creaturalità-increaturalità della gloria rivelata di Dio – è una forte indicazione che l'italo-greco di Calabria non apparteneva, come padre Giovanni pensa, a una tradizione teologica o filosofica ben radicata a Bisanzio. Questo fatto spiega perché egli non ha potuto essere stato facilmente difeso da coloro che erano sostanzialmente d’accordo con lui riguardo alla sua prospettiva teologica. Se vi fosse stata una tradizione romano-orientale in suo favore egli avrebbe avuto un aperto sostegno già all'inizio della controversia. I filosofi e i teologi orientali romani non erano persone arrendevoli e timide davanti ai dibattiti! Invece fu concesso del tempo a coloro che convenivano con la teologia barlaamita affinché ne parlassero e venissero considerati.
Il semplice fatto che la maggioranza del dibattito girasse attorno all'interpretazione dello Pseudo-Dionigi non verifica il carattere bizantino del pensiero di Barlaam, specialmente quando si comprende il peso dell'Areopagita tra le autorità [filosofiche] dell'Occidente franco-latino. Allo stesso modo, il fatto che Barlaam attacchi l'aquinate non fornisce nessuna prova sull'antiscolasticità del Calabro, visto che Tommaso [in quel tempo] era ancora fortemente attaccato pure dagli ambienti non nominalisti. Al contrario, l'intimità del Calabro col pensiero dell'Aquinate (che non era ancora stato tradotto in greco), Duns Scoto ed Agostino (parzialmente tradotto) indica intensamente la prossimità chez lui di categorie franco-latine scolastiche. Proprio il fatto che egli divenne orientale per studiare Aristotele, probabilmente nel testo originale, nonostante fosse già padrone delle categorie aristoteliche e fisiche (per averle studiate nella traduzione latina), indica fortemente questa caratteristica [la non bizantinità di Barlaam]. L'asserto di padre Giovanni per cui Barlaam è un bizantino piuttosto che un occidentale platonista e umanista viene solo affermato ma non è mai dimostrato.

È probabile che padre Giovanni produrrà una monografia per dimostrare l'umanesimo bizantino di Barlaam e tracciarne il profilo. Un tale lavoro contribuirà negativamente al corrente dialogo teologico Oriente-Occidente dal momento che sarà teso a provare le radici d’una certa teologia franco-latina nella tradizione orientale. Per far ciò l'unica strada possibile consiste nel descrivere Barlaam come bizantino piuttosto che come umanista platonico latino. Ciò è una necessità perché il calabro ha ben definite peculiarità latine nella sua teologia che sono abbastanza estranee alla tradizione patristica orientale. Tali peculiarità spiegano, in parte, perché pure coloro che, in Costantinopoli, desideravano sostenerlo erano impossibilitati a farlo. Più tardi, quando qualcuno parlò chiaramente, lo fece per far notare che aveva aderito alla condanna del Calabro e che colui che aveva tradito le decisioni del 1341 era stato Palamas.

Nel corso di quest’articolo sarà evidenziato che padre Giovanni si è probabilmente entusiasmato all’idea di un Barlaam ‘anti-latino’ e ciò non gli ha fatto prendere seriamente in considerazione che il Calabro mirava ad una posizione pre-scolastica, particolarmente riguardo alla questione del Filioque dove poteva esserci la chiave per l’unione [tra le Chiese], posizione che mantenne eroicamente contro ogni avversità fino alla sua condanna e alla successiva integrazione nella Chiesa franco-latina nella quale divenne vescovo. D’altra parte, pare che padre Giovanni non abbia considerato che Barlaam, in un primo momento, avesse condiviso i sentimenti di altri scrittori latini contemporanei sulla questione del rapporto tra autorità papale, impero e sinodi ecumenici, una questione che giunse a soluzione quasi un secolo dopo l’opinione barlaamita sull’argomento. Forse non era così "mauvais theologien” com'è stato descritto. Egli, piuttosto, avrebbe potuto essere un buon latino di tendenza conciliare ma ebbe tribolazioni da persone la cui teologia non poté realmente capire e che non avrebbe mai potuto comprendere per l'orientamento con il quale argomentava. Padre Giovanni non ha mai adeguatamente risposto perché Barlaam sia venuto in Oriente lavorando, da allora, per l’unione con l’Occidente, e neppure perché Barlaam abbia fintamente affermato che pure i cristiani bizantini erano immersi nell'ignoranza. All’inizio il Calabro ha dato l'impressione d’essere venuto in Oriente nella convinzione che la teologia romano-orientale trasmettesse la vera fede; ma, in seguito, ha lavorato alacremente e appassionatamente per ottenere un’unione di compromesso. Ci saremo attesi che, nello studio di Meyendorff, si chiarissero questi due fatti o almeno uno dei due per verificare il tradizionale sospetto bizantino secondo cui Barlaam sarebbe stato una spia latina o per determinare qualcos’altro. Il rifiuto d’illuminare questi fatti getta qualche dubbio sulla storicità dell’ interpretazione degli eventi descritti da padre Giovanni e spiega la sua incapacità a valutare la posizione barlaamita e a separare gl’insegnamenti di Barlaam dalle accuse rivoltegli da Palamas. Se si considera seriamente lo sfondo teologico latino di Barlaam, si può vedere che Palamas ha semplicemente discusso sorvolando certi problemi perché non ha esattamente compreso a pieno il punto di partenza latino del calabro. Come vedremo, questa dura controversia è dimostrata chiaramente dalle iniziali contese tra Palamas e Barlaam riguardo all’increaturalità della gloria divina rivelata ai patriarchi, ai profeti, agli apostoli e ai santi quando essi erano ancora in questa vita.

Seguendo la tradizione agostiniana occidentale, Barlaam affermò, disputando appassionatamente, che la gloria di Dio rivelata in questa vita ai patriarchi, ai profeti e agli apostoli fosse creata, e che in ciascun caso separato di Rivelazione tale gloria giunge, transita e scompare dall’esistenza perché ha una breve durata. Essendo stato teologicamente formato su opere come il De Trinitate di Agostino, il calabro riteneva che non fosse la divinità increata stessa ad essere rivelata nell’antico e nel nuovo testamento ma creature esistenti temporaneamente che simboleggiavano la divinità per elevare le menti di coloro che avevano la Rivelazione a vari livelli di comprensione sulle ultime verità. Solo più tardi sant'Agostino fece un'eccezione che si affermò come la classica eccezione latina su quest’argomento ammettendo una visione estatica dell'essenza divina nella vita di Mosé e di san Paolo. Il fatto che Barlaam fosse disgustato quando comprese che la Chiesa bizantina tollerasse gli eretici combattuti da Agostino, indica direttamente la sua formazione latina. Ci si doveva aspettare che, essendo ignorante della vita della Chiesa romana orientale, accusasse confidenzialmente proprio i suoi monaci di eresia e di non avere esperienze divine, ma visioni sataniche .
Palamas credeva che le visioni della gloria divina, descritte dall'antico e dal nuovo Testamento, fossero veramente visioni della divinità increata alle quali il corpo poteva partecipare. Barlaam non solo escludeva il corpo da questo genere di esperienze, ma pure l'intelletto stesso affermando che questa gloria rivelata fosse, in ogni caso, una creatura che simboleggiava la divinità. In questa visione l'intera questione sollevata dalle antropologie di Macario ed Evagrio non è così fondamentale per questi problemi come Meyendorff pensa . Si può permettere, anche solo per un momento, una divisione nella tradizione patristica orientale romana dove dei padri romani "platonizzanti" andrebbero d'accordo con Barlaam nel negare la realtà della visione della gloria increata divina non solo al corpo ma pure all'intelletto? Quale padre "platonizzante" afferma che esiste una tale gloria creata di Dio? Nessuno conosce un autore simile! In compenso, tutta la tradizione franco-latina scolastica è in sintonia con Barlaam.

Questo è il quadro storico nel quale è iniziata la cosiddetta controversia palamita. Tale controversia deve essere studiata ed apprezzata in questo stesso quadro. Solo quando si comprende lo zelo con il quale sant'Agostino ha disputato contro gli esicasti della sua epoca, si può apprezzare l'esplosione isterica di Barlaam sull'insegnamento tollerante della Chiesa bizantina davanti alle affermazioni della visione della gloria increata di Dio in questa vita. La sua appassionata confidenza in se stesso e il suo zelo non possono essere spiegati altrimenti se non considerando che Barlaam era latino nella sua formazione e che non avesse mai sospettato un allontanamento della Chiesa orientale dalla dottrina agostiniana occidentale su tale punto. Com'è possibile che un apparente umanista come Barlaam, disposto ad un compromesso sul Filioque, divenga isterico di fronte all'affermazione della visione increata? Se, come padre Giovanni afferma, Barlaam fosse stato un pelagiano neoplatonista, perché avrebbe dovuto assumere un simile atteggiamento aggressivo davanti a tale proposizione? L'affermazione di Meyendorff, in base alla quale Barlaam aveva un’antropologia dualista come base sulla quale ha costruito il suo rifiuto della preghiera esicasta , non può sicuramente spiegare il fanatismo e la persistenza con la quale attaccò i monaci. Inoltre, una cosa è affermare che, per Palamas, la comprensione barlaamita sul ruolo del corpo nella salvezza è nullo, un'altra cosa è affermare che il Calabro abbia creduto effettivamente che il corpo era al di fuori del processo soteriologico. Dal punto di vista esicasta, per il quale il corpo partecipa per grazia alla visione dell'increata gloria divina – parte integrale dell'esperienza profetica e apostolica e della salvezza e deificazione finali del corpo –, è ovvio che dei teologi franco-latini, specialmente quelli di maggior spicco, avrebbero dovuto reagire come Barlaam. Sarebbero quindi stati accusati, come fece Palamas, di escludere il corpo dalla salvezza. Così si può apprezzare la ragione per cui il Calabro abbia creduto e difeso con passione, come Agostino prima di lui, la purezza della fede cristiana immersa ora nel mare dell'ignoranza monastica. Si può ben capire il suo stupore non solo davanti all’incomprensione degli umanisti illuminati di Bisanzio, che non apprezzarono l’insistenza isterica barlaamita nel difendere quanto il Calabro pensava fosse essere una comune tradizione cristiana, ma pure quando costoro persero la pazienza verso di lui e lo abbandonarono.

In vista delle ovvie somiglianze che sono state e saranno indicate tra Barlaam e la tradizione agostiniana, l’accenno ricorrente di padre Meyendorff sull’agostinismo di certe dottrine palamite è davvero molto strano. Come chiave di comprensione dei principi dibattuti nella controversia sui modi di conoscenza di Dio, padre Meyendorff discute la comprensione palamita sulla caduta dell’uomo privato dalla grazia e così dimostra come e perché Palamas non poteva accettare la dichiarazione di Barlaam su una via naturale di conoscenza e salvezza . San Gregorio è pessimista sull’abilità naturale umana nel conoscere e mettersi in contatto con Dio e questo pessimismo è molto correttamente attribuito alla comprensione della creaturalità e del peccato umano. In questo punto viene creduto come "l’un des auteurs les plus ‘augustiniens’ de l’ Orient chrètien” .

In quest’affermazione padre Giovanni fa veramente una confusione basilare. Esattamente in contrasto con Palamas, Agostino è piuttosto ottimista sulla capacità naturale umana nel pervenire intellettualmente ad una conoscenza di Dio attraverso lo studio delle creature e non ha mai abbandonato l’opinione che i platonici avevano sulla Santa Trinità . Il pessimismo agostiniano non si manifesta primariamente nel campo umano delle capacità (o incapacità) naturali di conoscere la verità quanto, piuttosto, nel campo della volontà umana: l’uomo senza la grazia può conoscere Dio, ma non può amarLo e perciò non può superare l’orgoglio ed essere salvato. Senza la grazia non può neppure avere il desiderio iniziale di fare la volontà di Dio. Comunque, una volta catturato dall’irresistibile 'grazia preveniente’, è condotto, se è predestinato, dall’habitus (abitudine) e dall’ irresistibile 'grazia perseverante'. In contrasto con tutto ciò, Palamas è relativamente pessimista a livello filosofico come pure davanti all’uomo che opera il bene; ma non è pessimista riguardo al desiderio umano di fare la volontà di Dio. Padre Giovanni descrive abilmente l’attacco palamita dell’ottimismo filosofico di Barlaam senza comun-que apprezzare il collegamento di quest’ottimismo con la generale tradizione agostiniana. La mancanza di quest'apprezzamento è, senza dubbio, dovuta alla sua incapacità ad osservare l’agostiniana definizione del Calabro sull’habitus della grazia e la sua comprensione latina del lumen gloriae… Avendo inizialmente confuso l’ottimismo filosofico con le tendenze pelagiane, la svista di padre Giovanni è, al meno, in parte comprensibile.

Nel ricostruire gli elementi del pensiero barlaamita, come emergono dal dibattito con Palamas, si ha un doppio svantaggio: non solo possediamo unicamente i frammenti dei lavori persi del Calabro, frammenti citati da Palamas, ma li abbiamo già interpretati ed estrapolati dalla loro opera, dal momento che sono stati posti fuori dal loro autentico contesto e collocati nella struttura del pensiero polemico di san Gregorio. In questa situazione, ogni singolo frammento diviene molto importante, particolarmente le frasi isolate che possono indicare una serie di presupposti teologici forse incompresi o sottovalutati dallo scrittore che le cita. Palamas è interessato principalmente a puntualizzare l’inconciliabilità della posizione di Barlaam con la tradizione patristica mentre la posizione complessiva con la quale il Calabro parla viene solo presupposta. Padre Meyendorff indica correttamente che, per Palamas, tutto il discorso sulla grazia creata salvante e deificante significa il rifiuto del carattere soprannaturale della grazia, poiché, per lui, la soprannaturalità può essere unicamente increata . Perciò si può capire perché Palamas accusi Barlaam d’insegnare una via naturale di salvezza. Questo fatto non significa, comunque, che la grazia sia veramente naturale per Barlaam, come crede padre Giovanni, poiché nella tradizione latina la ‘partecipazione soprannaturale alla grazia’ è qualche cosa di creato, non esistendo alcuna partecipazione diretta o reale all’essenza increata divina.

Un altro buon esempio di equivoco tra Palamas e Barlaam ci è offerto dal dibattito sulla gloria creata-increata di Dio. Argomentando contro le posizioni agostiniane di Barlaam, Palamas ha dovuto superare molti ostacoli per provare che la gloria rivelata ai patriarchi, ai profeti, agli apostoli e ai santi in questa vita è identica alla luce eterna della gloria futura partecipata dai beati . A partire da tale dibattito è stato definito che non è la gloria che cessa d’esistere in ciascuna Rivelazione, quanto, piuttosto, l’esperienza della visione avuta da coloro che sono oggetto della Rivelazione che temporaneamente cessa. Palamas afferma che la gloria di Dio alla quale parteciperanno i santi nel futuro è increata. Perciò pensa di dimostrare l’identità della gloria di Dio rivelata nell’antico e nel nuovo Testamento con la gloria dell’epoca futura, verificando automaticamente l’ increaturalità di tale gloria. Ma, per Barlaam, questa teoria non può avere spazio alcuno perché, nella sua prospettiva, esistono due glorie, quella creata, il "lumen gloriae” della teologia latina con la quale l’eletto avrà la visione dell’essenza divina, e la gloria increata che coincide con la medesima essenza divina. Palamas cita Barlaam che avrebbe scritto: "l’ incomunicabile gloria di Dio, essendo eterna, non è altro che l’essenza di Dio; ma la [gloria] comunicabile è altro rispetto all’essenza di Dio, e questa veramente non è eterna, per cui l’origine di questa [gloria] è la causa di tutte le cose” . Che Barlaam si stia qui riferendo alla gloria latina creata, il "lumen gloriae”, è ovvio dal suo rifiuto di affermare che ciò che veniva rivelato ai profeti e agli apostoli era un dono deificante, theopoion doron . Per Barlaam la conoscenza dedotta dalla visione della gloria divina dell’antico e del nuovo Testamento è inferiore all’intellezione. Essendo latino nella sua formazione, Barlaam non avrebbe mai potuto parlare di una qualche gloria o grazia deificante nell’antico Testamento o, per ciò che qui ci interessa, di qualche gloria o grazia deificante prima della Crocifissione. Non c'è dubbio che Barlaam abbia indicato l’esistenza di due glorie per confutare i summenzionati argomenti di Palamas basati sull’assunzione della gloria futura che può essere solo increata. Questo fatto è intensamente indicato da come Palamas comprende che, per Barlaam, tutte le energie e i poteri di Dio distinti dall’essenza divina sono creati; ed è cercando di parlare di ciò ai suoi lettori che cita la posizione di Barlaam sulle due glorie. Su questo punto, Palamas incontra una nuova sfida nel momento in cui prova che la gloria increata di Dio non è l’essenza divina ed è partecipata all'eletto.
L’insegnamento di Barlaam, riguardo alla doppia gloria di Dio, non è solo una significativa indicazione della sua provenienza latina, ma è la prova che non ha creduto a qualche processo naturale di salvezza – almeno non quanto la Chiesa latina riteneva –, per cui, senza il dono soprannaturale del "lumen gloriae”, è impossibile per l’intelletto umano vedere l’essenza divina. Se Barlaam avesse creduto ad una salvezza naturale, non ci sarebbe stato alcun bisogno di una gloria creata comunicabile. Che questa sia la sua convinzione sulla grazia viene pure indicato dalla sua posizione sulla preghiera incessante. Barlaam rigetta completamente l'idea che un monaco dovrebbe pregare ininterrottamente e gli pare ridicola l’affermazione che, durante tale preghiera, si può avere una visione della gloria increata di Dio, visto che in questa vita Dio può essere esperimentato solo nell’estasi – che non lascia possibilità ad alcun tipo di pensiero, neppure alla breve preghiera di Gesù. Di fronte alla necessità di interpretare il passo di I Tes, 17, il Calabro ha proposto la spiegazione che in questa frase san Paolo indica l’habitus (exis) della preghiera: "Questo habitus consiste nell’essere abilitati a fare, pensare, e giungere a null’altro di quanto non sia voluto da Dio. Perciò, colui che ha questo habitus prega incessantemente” . Barlaam definisce il termine habitus (exis) come grazia. Nelle altre volte in cui Palamas cita tale termine, traendolo dal pensiero barlaamita, emerge abbastanza ovviamente che il Calabro utilizza la definizione agostiniana dell'irresistibile habitus della grazia con lo scopo di definire il pensiero paolino sulla preghiera. Questo rifiuto della preghiera ininterrotta a favore di una ‘preghiera purificatoria’ concepita come un attivo stato di grazia espresso nelle buone opere, è tipico della teologia latina post-agostiniana. In questo passo, Barlaam non parla della preghiera come di uno ‘stato passivo’ contrario ad un’attività consapevole, come padre Giovanni crede . Barlaam non dice che in questo stato l’uomo non può far nulla, ma che non può fare nulla di quanto non sia voluto da Dio. Barlaam ha avuto molta difficoltà a provare che la preghiera ripetitiva è lontana dal far accedere l’uomo ad uno stato estatico che, per lui, è l’unico vero modo di contemplazione mistica. Secondo la medesima definizione barlaamita, l’estasi, concepita nei termini di una spoliazione dai sensi e dai pensieri, non può offrire alcuno spazio a ‘opere’, ‘pensieri’ e azioni che vengono ‘fatte accadere’.

Un’ulteriore prova della provenienza latina di Barlaam è la sua definizione di contemplativo come di colui che, pensando, avrebbe la visione dell'essenza divina . Egli ha avuto molta difficoltà nello spiegare come sia possibile per delle persone vedere l'essenza divina e interpretare le possibili esperienze con le quali si vede l'increato con dei pensieri creati . Palamas ha ridicolizzato l’idea stessa che si possa definire contemplativo chi abbia un genere simile di visione dell'essenza divina . Qui si deve considerare che, mentre nell'Occidente latino esiste una forte tradizione mistica in base alla quale si hanno visioni dell'essenza divina in questa vita (Cfr. gli eccartiani ), non esiste niente di simile nella tradizione patristica bizantina e nella letteratura ortodossa orientale. I Padri negano con decisione la possibilità d’una visione dell'essenza divina non solo in questa vita ma pure nella prossima. I Padri romano-orientali negano la visione dell'essenza divina perfino agli angeli. Questo rifiuto significa naturalmente che la nozione latina della visione beatifica viene rigettata completamente . È chiaro che Barlaam aveva in mente alcuni mistici occidentali ed inizialmente ha creduto di rinvenire una tradizione simile fra gli esicasti che asserivano d’avere visioni increate. Ritroviamo nuovamente un altro esempio di equivoco. Combattendo contro un certo misticismo "eccartiano”, Barlaam ha pensato inizialmente di rispondere adeguatamente alle affermazioni degli esicasti e, naturalmente, Palamas si è stupito all'idea che gli esicasti affermerebbero [secondo Barlaam] d’avere visioni della gloria increata di Dio come se avessero immediate o mediate visioni dell'essenza divina.

Una delle indicazioni più chiare della provenienza teologica latina di Barlaam è riscontrabile nella sua affermazione che le visioni profetiche per mezzo di creature simboliche e visioni immaginarie sono inferiori all’intellezione (cheiro noeseos) . La visione della gloria di Dio nell’antico e nel nuovo Testamento – essendo per Barlaam, come per l’Occidente latino in genere, una creatura che simboleggia una verità rivelata – è inferiore alla Rivelazione della verità che tocca direttamente l’intelletto. Nell’insistente ottica di Barlaam, dovunque venga citata da Palamas, non ci può essere alcuna conoscenza di Dio attraverso la conoscenza limitata delle creature. Sembra esservi qui una contraddizione. Se l’intera conoscenza di Dio avviene attraverso i mezzi creati, perché la Rivelazione per mezzo di tali creature della gloria divina è inferiore all’intellezione? Se si rimanesse fedeli al principio epistemologico basilare posto da Barlaam, come ci sarebbe intellezione separatamente dai sensi e dall’ immaginazione? Barlaam contraddice il suo principio base epistemologico sulla conoscenza di Dio quando la ammette per mezzo delle creature, altrimenti fa un’eccezione ad esso.

Lo sfondo materiale delle opinioni barlaamite lo si ottiene rivolgendosi a Tommaso d’Aquino nella discussione su la ‘Divisione della profezia’ rinvenibile nella Summa Theologica, pt. II-ii, q. 174, art. 1-6. Nell’art. 2 Tommaso cita una glossa (= commento) per l’inizio del Salterio. Egli afferma che:

La forma più eccellente di profezia è quando un uomo profetizza attraverso l’ispirazione del Santo Spirito, separatamente da ogni esterna assistenza di atti, parole, visioni o sogni.
Ciò significa che

... è evidente che la manifestazione della verità divina attraverso i mezzi della sola contemplazione della verità, è più fedele di quella trasmessa dalla similitudine delle realtà corporee, perché si avvicina alla visione del Cielo dove la verità è vista nell’essenza di Dio. Da qui discende che la profezia, ossia una verità soprannaturale, è percepita attraverso la visione intellettuale ed è più eccellente di quella dove la verità soprannaturale si manifesta attraverso la similitudine delle cose corporali nella visione immaginativa.

È ovvio che Barlaam ha opinioni simili riguardo alla profezia e alla Rivelazione. Perciò padre Giovanni si sbaglia quando accusa Barlaam di insegnare una Rivelazione naturale a detrimento di una conoscenza soprannaturale di Dio . Proprio il fatto che Barlaam accetta la Rivelazione attraverso delle creature momentaneamente esistenti, manifestanti la gloria di Dio dell’antico e del nuovo Testamento, deve aver convinto Meyendorff in tal senso. Barlaam crede che la Rivelazione intellettuale è superiore a quella trasmessa attraverso le creature e l’immaginazione e ciò è prova:

I) del suo concetto spiccatamente latino con il quale ritiene la Rivelazione attraverso dei mezzi che trascendono l’ordine delle leggi naturali, cosa che anche altri latini ammettono nei riguardi della conoscenza di Dio, e
II) della sua teologia latina.

Nell’ottica degli articoli sul Filioque descritti da padre Giovanni, si penserebbe che Barlaam abbia accolto e studiato il De Trinitate di sant’Agostino e abbia, perciò, familiarità con i primi quattro libri che dedicano parecchio spazio a confutare quella che sembra chiaramente essere una tradizione esicasta del IV-V secolo presente nell’Africa del Nord . Tuttavia padre Meyendorff evita di accennare a qualche possibile collegamento tra Barlaam e la tradizione agostiniano-latina su questo punto. Viceversa l’Autore va incontro a notevoli difficoltà per inventare una speciale tradizione bizantina areopagitica nella quale situare Barlaam. Comunque, non si può semplicemente comparare il simbolismo di Barlaam e quello di san Dionigi l’Areopagita attraverso una tradizione bizantina che lo interpreti. Si deve provare che l’ interpretazione di Barlaam e quella di Dionigi sono naturalmente simili a quelle di altri teologi dell’Oriente romano, iniziando dall’epoca dello stesso Areopagita e finendo prima che determinate influenze franco-latine iniziassero a penetrare in alcuni circoli bizantini. La questione non è, come padre Giovanni ritiene, quella di determinare cosa si pensa che l’Areopagita stia realmente dicendo e quindi comparare quest’interpretazione con quella di Barlaam. Quello che si crede essere il reale insegnamento dell’Areopagita non è importante, in tal caso. L’unica cosa che qui è importante, è determinare se è veramente esistita in Oriente una tradizione interpretativa nei riguardi dell’ Areopagita che sia stata essenzialmente identica a quella di Barlaam. Non determinando questo, padre Giovanni finisce semplicemente per annullare ogni possibilità che l’interpretazione di Barlaam, nei riguardi del pensiero areopagitico, possa essere essenzialmente condizionata dai presupposti latini. L’Autore non si pone neppure una volta la questione sull'influenza di Agostino in determinati circoli bizantini, particolarmente dopo la traduzione greca del suo De Trinitate per opera di Massimo Planudes nella seconda metà del XIII secolo. Con questi fatti, è semplicemente impossibile citare i principi barlaamiti nei riguardi della Rivelazione attraverso i mezzi di simboli creati come fanno pure Akindynos e Gregoras, come se quest'ultimi fossero una garanzia in grado di rappresentare un’antica e ben radicata scuola di pensiero, basata su una "formale ripetizione” che si origina da una tradizione evagriano-platonica o da altre scuole simili.
Padre Giovanni fa leva sul simbolismo platonico dello Pseudo-Dionigi rappresentato dalla tradizione bizantina come chiave del pensiero ‘nominalistico’ barlaamita , e così fa un errore fondamentale simile a quello compiuto sulle antropologie di Evagrio e Macario e sulla loro importanza nella controversia in questione.
A questo punto ci si può nuovamente domandare: esiste una tradizione patristica orientale che interpreta Dionigi nel senso sopra esposto (o come semplicemente lo richiede la mentalità barlaamita) che la gloria di Dio, rivelata nell’antico e nel nuovo Testamento, è creata e simboleggia unicamente la divinità increata? Esiste l'idea che la visione di questa gloria è inferiore alla Rivelazione intellettiva? Che nell’età futura ci saranno due glorie, una creata e comunicabile e un’altra increata e incomunicabile? Che nelle rivelazioni dell’Antico Testamento gli angeli hanno simboleggiato la divinità? Che la grazia divina è creata? Che questo habitus opera irresistibilmente? Che il contemplativo è colui che, in qualche modo, ha visioni dell’essenza divina? Ammettendo ipoteticamente, per un momento, che l’Areopagita sia d’accordo con Barlaam su alcuni di questi punti, esiste qualche Padre romano-orientale o umanista appartenente ugualmente all’Oriente romano, prima dell’influsso franco-latino teologico in Oriente, che interpreti san Dionigi come fa il Calabro?

Dopo la descrizione del "Symbolisme Barlaamite” che in realtà è quello di Agostino e della recente scolastica occidentale, e dopo aver citato dei passi che dimostrano un’identità di opinioni su questo punto tra Barlaam, da una parte, ed Akindynos e Gregoras, dall’altra, padre Giovanni si attende che il lettore veda in tale simbolismo "le danger que faisait courir au christianism byzantin la thèologie nominaliste”. Allora, per dimostrare che questa rivelazione attraverso simboli creati riduce l’Eucaristia a qualche cosa di "purement symbolique” , riscontra un pericolo che non si è mai presentato e che non ha mai preoccupato i latini, visto che per loro prima della Crocifissione è assente la comunicazione della grazia sacramentale e la luce della Trasfigurazione non è mai stata associata ai sacramenti. Dopo aver descritto che i simboli creati sono divenuti comuni a tutto l’Occidente latino da quando ha prevalso il pensiero agostiniano, padre Giovanni conclude,

Il s’agissait donc d’un mouvement fort semblable a celui que suscita en Occident la pensée de Guillaume d’Okham et don’t l’un des aboutissements fut la réforme protestante .

Pare che, per padre Giovanni, Guglielmo di Occam abbia inventato il chiarimento agostiniano della Rivelazione divina comunicata attraverso simboli creati descritti nell’antico e nel nuovo Testamento e che Palamas, lottando contro questo "platonismo nominalistico", abbia salvato l’Oriente Ortodosso dal Protestantesimo. Basato su tali osservazioni, padre Giovanni deduce, alcune pagine dopo, una stupefacente conclusione in base alla quale Palamas e i latini scolastici anti-nominalisti difenderebbero essenzialmente le stesse verità.

Sur beaucoup de points, l’enjeu de la controverse que l’opposait à ses adversaires était au fond identique à celui qui, depuis le XVIème siècle, oppose en Occident Réformateurs et Contre-Réformateurs. La différence éssentielle est qu’en Orient les défenseurs du sacramentalisme réaliste ignoraient les catégories philosophiques, héritées de la Scholastique, et n’opposaient aux nominalistes que des formules bibliques et patristiques traditionnelles .

Con queste espressioni sembra che, per padre Giovanni, l’insistenza ortodossa sull’increaturalità della grazia santificante sacramentale e l’ insistenza romana sulla creaturalità di una grazia sacramentale infusa siano la stessa cosa e che entrambe le dottrine abbiano eguale valore contro la generale posizione protestante. Si giunge a questa conclusione pensando, in parte, che l'Occidente latino e, particolarmente, lo scolasticismo, sono concordi con Palamas nel respingere il rifiuto di Barlaam e del Protestantesimo della visione divina al cristiano. Questo rifiuto, secondo padre Giovanni, riduce i sacramenti a puri simboli. Così s’infonde l’impressione che Palamas e gli scolatici latini abbiano lottato contro un nemico comune, il nominalismo, che ha preparato la via ad un futuro comune nemico: il Protestantesimo.
Categorie: Pagina Italiana | Adăugat de: pavel (06.05.2012)
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